12.4.06

Lo sgombero definitivo

Lo sgombero definitivo di Arti In Campo da Chiesavecchia, previsto per il 25 di marzo, fu rimandato al 9 aprile per un mio impegno nello stesso giorno. La data del 9 aprile fu proposta della co-esecutrice testamentaria (con Christa) di Pat: Dalu, che si offrì di testimoniare anche lei all'atto dello sgombero.

Domenica 9 aprile mi sono presentato a Chiesavecchia insieme con Christa alle 14.30. Dalù non c'era perché era dovuta ritornare a Roma. Barnelli era stato avvertito da Christa con il mio asssenso, e si è presentato in scena alla guida di una carriola e con una pala. Non ha risposto al mio saluto e si è messo a spalare un mucchietto di sabbia. Poi ha risposto a Christa in tedesco. Dopo un breve colloquio, Christa mi ha riferito che B. ha intenzione di chiamare un camion per sgomberare quanto può rimanere a Chiesavecchia, il che gli costerà una certa spesa e un certo impiego di ore di lavoro. Mi è sembrato che Barnelli volesse dei soldi, in cambio del permesso di sgomberare quanto mi serviva da Chiesavecchia. Christa si è trovata d'accordo con questa mia opinione.
Mi è sembrato che le mie cose fossero state sequestrate a scopo di estorcermi un riscatto in denaro. Questa impressione è stata confermata dal fatto che il box di lamiera era stato blindato (per la prima volta, da quando lo avevo montato, anni fa) con un lucchetto e che la porta della mia casina d legno era stata accuratamente inchiodata (proprio come una cassa da morto). Un lavoro eseguito da Barnelli "con molto piacere", come si è premurato di dichiarare a Christa.

Qualcuno ha già detto che io avrei voluto andarmene "lasciando sporco". Gli ricordo che non me ne sono andato di mia volontà e che non ho deciso io, che tanti oggetti, utili e/o artistici per Arti in Campo, si classificassero come "immondizia". Di solito, comunque, gli agenti della pulizia etnica non addebitano alle loro vittime i dettagli delle loro operazioni. Non vorrei esagerare ma ricordo una eccezione: nel 1944, mio padre vide, dalla finestra del carcere di Bassano del Grappa, le SS che costringevano i partigiani a scavarsi da sé a propria fossa, prima di fucilarli. Perciò, passerei oltre...

Per rientrare in possesso delle mie cose, non mi era possibile avere un confronto verbale con Barnelli, il quale non risponde al mio saluto né mi rivolge direttamente la parola.
Non ho voluto patteggiare un riscatto dei miei beni sequestrati, tanto meno con la intermediazione di Christa. Non ho voluto ricorrere ai Carabinieri, perché mi sono piuttosto antipatici e anche perché tutta la sotria di Chiesavecchia nacque con il celebre Contratto firmato da Pat e da me in nome della Legge del Diritto istituita dal santo David Lazzaretti.
Non ho nemmeno voluto divellere chiodi, spezzare lucchetti e provocare, in presenza di Christa, uno scontro fisico con l'Uomo della Pala (Barnelli). Il quale, con indubbio gusto scenografico, aveva pure sfondato la casina di legno lasciandoci infitta la sua ascia... di guerra.

Ho deciso di andarmene, abbandonando i miei beni, Chiesavecchia e Barnelli al loro destino.

Il destino di Barnelli non mi riguarda troppo. Temo purtroppo (o per sua fortuna) che, adesso, dopo la sua soluzione finale del problema "Luciano Male Assoluto", Barnelli si trovi di fronte a un Male Assoluto interiore, che perciò non potrà espellere con azioni di forza, ma su cui dovrà rendere dolorosi conti.

Il destino di Chiesavecchia è ben oltre un mio possibile intervento. Sono comunque molto soddisfatto del mio contributo al restauro "fantarcheologico" della Chiesa, la semina e la festa sulla sua superficie. La Chiesa resta lì (dove è da vari secoli), monumento di arte e cultura popolare (più che cristiana), con il suo sottosuolo di ossa umane. E' difficile sgombrare tutto questo o, per lo meno, forse rischioso.

Il destino dei miei beni è problematico. Si tratta di varie stoviglie, biclclette, stufe ed attrezzi di scarso valore commerciale. Poi ci sono gli arredi di Arti in Campo: centinaia di metri di stoffa, di teli-ombra, di antichi sacchi di juta, più vari ingegnosi congegni di convivialità. Poi ci sono 5 telai per tessitura africana completi di ogni arnese accessorio. Poi c'è una dozzina di stoffe Africane "Kente" tessute a mano, una dozzina di miei arazzi e tappeti tessuti a mano, una dozzina di Maschere tessute in ferro, documenti e non saprei che altro. Sprattutto, mi affascina il giallo delle opere disperse: discaricate a S. Caterina? degradate ad usi ignobili? rivendute in qualche mercatino? ricettate da collezionisti di pochi scrupoli?

Sinceramente, preferirei che tutto fosse incendiato sul posto: un rogo potrebbe concludere tutta la faccenda, se non in bellezza, almeno in armonia con l'andazzo teatrale e psico-drammarico... impresso, diciamolo, proprio da Patrizia!